02/04/2019

POST BREXIT: RISCHI IN TEMA DI SICUREZZA ALIMENTARE E SCAMBI COMMERCIALI DI CIBI E BEVANDE

Il 24 giugno 2016, presso il Municipio di Manchester, il Presidente della Commissione centrale, Jenny Watson, ha annunciato i risultati del Referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.

Come noto, i “leave” hanno avuto la meglio sui “remain”, ottenendo, con il 51,9% dei voti, la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’UE. Tralasciando gli aspetti legati a “come” e “quando”questo “divorzio consensuale” avverrà, la Brexit ha fatto suonare un primo campanello d’allarme per tutta la CE e, più precisamente, per la libera circolazione delle merci.

In realtà, la Brexit, ha portato anche una ventata di “speranza” circa la liberalità di nuovi accordi commerciali, in particolare per quanto riguarda quelli tra Stati Uniti e Gran Bretagna.

Più precisamente, gli accordi che potrebbero entrare in vigore tra questi due paesi potrebbero aprire il mercato alimentare europeo a prodotti che oggi, come il pollo clorinato o la carne bovina alimentata con ormoni, sono vietati dalle norme dell'UE.

Questo accordo, oltre all’eliminazione delle barriere sanitarie, garantirebbe alle merci provenienti dagli Stati Uniti un accesso “privilegiato” in quanto esente da dazi doganali.

Spostando invece l’attenzione sul panorama europeo, come noto, i Paesi membri dell’UE, fanno parte di un’unica area commerciale in cui possono usufruire dei vantaggi dell’unione doganale, grazie alla quale le merci circolano liberamente, e senza essere sottoposte a dazi doganali.

Con la Brexit, invece, questo potrebbe non operare più tra i Paesi dell’UE e la Gran Bretagna.

Vero è che, ad oggi, non risulta possibile avere certezze circa gli accordi in tema di scambi commerciali, che verranno stabiliti in via definitiva dalle trattative in corso tra Regno Unito e Unione Europea,ma nulla vieta, agli esperti del mercato e di diritto, di effettuareprevisioni circa gli scenari derivanti dalla Brexit, prendendo in considerazione sia l’eventualità di una “soft Brexit”, ossia il caso di un’uscita meno drastica che consentirebbe alla Gran Bretagna di stipulare accordi per continuare a fruire di parte dei vantaggi del mercato unico, che di una “hard Brexit”, cioè un’uscita totale, con effetti sicuramente più significativi e penalizzanti per il mercato anglosassone per il quale le esportazioni britanniche di beni verso l’UE rappresentano il 48% del totale.

Qualora non dovesse essere raggiunta un’intesa e si dovesse giungere ad una rottura completa con l’UE, si renderà necessario considerare l’introduzione di dazi doganali e barriere alla circolazione delle merci – da e per la Gran Bretagna -dovuti all’esclusione di Londra dall’area di libera circolazione di merci e di persone.

Con particolare riferimento all’applicazione di dazi doganali tra Inghilterra e Italia, così come tra Regno Unito e altri Paesi membri dell’UE,questo comporterebbe un rilevante aumento delle pratiche burocratiche e degli adempimenti doganali, con una dilatazione dei tempi ed un accrescersi dei costi dell’import/export con l’UK.
A ciò si aggiunga che, alcune merci,oggi liberamente circolanti tra Unione Europea e Gran Bretagna, diventerebbero soggette a restrizioni per motivi di sicurezza o protezione della salute, mentre altre, originarie del Regno Unito ed incorporate in merci esportate dall’Unione Europea verso Paesi terzi, non potranno più essere considerate “contenuto UE” ai fini della politica commerciale comune, con la conseguenza che, i Paesi protagonisti dei maggiori flussi commerciali, sarebbero totalmente svantaggiati.

Merita un discorso più approfondito il tema dell’IVA e delle imposte indirette, in quanto, nell’eventualità che il Regno Unito diventi a tutti gli effetti un Paese terzo, le norme UE in materia doganale e di tassazione indiretta non saranno più applicabili in UK.

Occorre infatti sottolineare che, le merci spedite dall’UE al Regno Unito e viceversa, saranno considerate rispettivamente esportate ed importate, in conformità con la direttiva n. 2006/112/CE in materia d’imposta sul valore aggiunto. Quindi l’IVA sarà applicata all’importazione, mentre le esportazioni saranno esenti dall’IVA europea.

Quanto al rapporto tra Italia e Regno Unito, risulta impossibile non soffermarsi sugli effetti che la Brexit potrebbe portare nei rapporti commerciali tra i due Paesi in quanto l’Italia risulta essere uno dei clienti principali del sistema UK, detenendo una quota di mercato pari al 6%.

I dati più rilevanti dell’import/export tra Italia e UK, riguardano il settore agroalimentare ed in particolare vino, ortofrutta, cereali e riso, carni e prodotti lattiero-caseari, grazie ai quali, già nel 2015, il saldo dell’interscambio con il Regno Unito ha avuto un attivo di 2,6 miliardi.

Pertanto, per l’industria alimentare e vinicola del nostro Paese, la Brexitpotrebbe rappresentare un rischio di perdite. La stessa S.A.C.E. (Servizi Assicurativi Commercio Estero), ha previsto che l’uscita del Regno Unito dalla UE potrebbe comportare una contrazione delle esportazioni italiane oltremanica compresa tra il 3% ed il 7%.

Inoltre, anche le stesse Coldiretti e Federalimentare guardano alla Brexit con pessimismo e si soffermano su tre aspetti principali. Innanzitutto,la forte svalutazione della sterlina, che diminuirà il potere d’acquisto dei britannici e renderà meno appetibili i nostri prodotti, aspetto che non interesserà solo il nostro Paese, ma tutti quelli dell’area Euro.

Il secondo aspetto riguardaun comprensibile rallentamento dell’economia UK, con conseguente diminuzione della richiesta di articoli stranieri: anche questa problematica interesserà tutti i Paesi UE compresa l’Italia.

A risultare maggiormente preoccupante è il terzo aspetto, poiché riguardaquasi esclusivamente il nostro Paese: una Brexit senza un accordo definito potrebbe mettere seriamente a repentaglio la libera circolazione di prodotti DOP e IGP italiani, ovvero le autentiche “eccellenze” tricolore, che rappresentano circa un terzo dell’intero valore di food& beverage che esportiamo nel Regno Unito.

Un’uscita dall’Europa senza accordo profila, dunque, il rischio che in Gran Bretagna si affermi una legislazione sfavorevole ai nostri prodotti, in particolare quelli DOP e IGP. Parliamo, ad esempio, della famigerata “etichetta nutrizionale a semaforo” sugli alimenti, che, secondo Coldiretti, può ingiustamente penalizzare oltre l’85% del ‘made in Italy’ a denominazione di origine controllata. Questa etichetta indica con i bollini rosso, giallo e verde il contenuto di ingredienti nocivi alla salute, come grassi, sali e zuccheri: essa, però, viene apposta non in base alla reale quantità di prodotto consumata, ma alla generica presenza di alcuni elementi.

Il risultato, sottolinea Coldiretti, è che cibi spazzatura o comunque non salutari, saranno promossi dal bollino verde, mentre eccellenze nostrane come il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma potrebbero essere, paradossalmente, classificate come pericolose per la salute. Per non parlare del nostro olio extra vergine d’oliva, apprezzato per i benefici effetti sulla salute, il cui export verso l’UK è calato nel 2017 di oltre il 13%, proprio a causa dell’apposizione del bollino rosso.

L’aspetto “lievemente” incoraggiante di quanto appena descritto, risulta essere che, ad oggi, gli aggiornamenti sulla Brexit riguardano principalmente un periodo di transizione, in cui, considerando la data inizialmente stimata per il negoziatoal 29 marzo p.v.,tutto rimarrebbe invariatoalmeno fino al 31 dicembre 2020.

Ad oggi, però, la conclusione del negoziato è stata rimandata a data da definirsi, non potendo delimitare il momento in cui si avrà la possibilità di definire con certezza tutte le conseguenze, positive e negative, che la Brexit ha comportato sull’import/export con l’Unione Europea.