26/06/2019

Le contraffazioni alimentari e l'Italian Sounding

Una delle eccellenze italiane riconosciute in tutto il mondo rimane, senza alcun dubbio, la produzione alimentare e vitivinicola. Ma siamo sicuri che quello che mangiamo sia proprio quello che immaginiamo o che vediamo rappresentato sulla confezione che acquistiamo? A volte, infatti, questo non accade.
Questi prodotti, infatti, possono essere oggetto di azioni fraudolente,sia sugli alimenti che sulle loro confezioni, che provocano illeciti profitti a danno del consumatore.
Si annoverano quattro tipi di frodi alimentari, ovvero: la sofisticazione, l’adulterazione, l’alterazionee la contraffazione.
La sofisticazione è un'operazione che consiste nell'aggiungere all'alimento sostanze estranee che ne alterano l'essenza, corrompendo o viziando la composizione naturale e simulandone la genuinità, con lo scopo di migliorarne l'aspetto o di coprirne i difetti, ad esempio aggiungendo olio di semi vari a quello che sarà poi venduto come olio 100% extra vergine d’oliva.
Per quanto riguarda l’adulterazione, essa comprende tutte le operazioni che alterano la struttura originale di un alimento mediante sostituzione di elementi propri del prodotto con altri estranei (es. aggiunta di acqua, sottrazione di grassi od utilizzo di prodotti no autorizzati, come l’uso di caseine o latte in polvere zootecnico per produrre la mozzarella). Le adulterazioni, chiaramente, hanno riflessi non solo commerciali ma anche igienici - nutrizionali e, in alcuni casi, risultano di grave pericolo per la salute pubblica.
Oltre a ciò, una sostanza alimentare si dice in stato di alterazione, quando la sua composizione originaria si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione, ad esempio: la fermentazione alcolica nella vinificazione o la coagulazione della caseina nella produzione latto-casearia.
Quanto alla contraffazione, invece, questa consiste nel formare ex novo un alimento con l'apparenza della genuinità, in quanto prodotto con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo; un classico esempio è l’olio d’oliva composto da olii di semi vari colorati con l’aggiunta di clorofilla.
Purtroppo, quest’ultima risulta essere la frode alimentare più comune, generando un volume d’affari stimato, all’interno del solo Stato italiano, pari a 7 miliardi di Euroall’anno.[1]
Le contraffazioni provocano un enorme danno commerciale in quanto rendono meno competitive, a livello globale, le imprese italiane, le quali, nonostante i vari sforzi ed il sostegno dei Consorzi di Tutela, sono sempre più vittime sia delle frodi alimentari che dell’Italian Sounding.
Quest’ultimo fenomeno consiste nell’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che, con il loro “suono”, evocano una provenienza italiana per promuovere e commercializzare prodotti che, nella realtà, non hanno alcun legame con il nostro Paese. Tra i prodotti alimentari più imitati vi sono il Prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano (Parmezano, Parmesan, Reggianito), il Pomodoro San Marzano e la Mozzarella di Bufala Campana (Zottarella).L’obiettivo è quello di sfruttare l’indiscussa popolarità mondiale dei prodotti italiani, in particolare agroalimentari, consentendo all’azienda produttrice dell’articolo “non-italiano”, di conquistare i mercati a discapito delle aziende produttrici nostrane.
Si pensi che nel 2009, in Cina, è stata creata una città di nome “Parma”, nella provincia di Gansu, a sud-ovest di Pechino, e questo è stato sufficiente per produrre in loco il “Prosciutto di Parma”.
La stessa sorte è capitata al “Parmesan” prodotto in Germania: nel 2008, la Corte di Giustizia Europea ha respinto il ricorso avanzato dal Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, stabilendo che, in Europa, il Parmigiano Reggiano DOP può essere venduto con la denominazione anche da produttori tedeschi.
Oltre a ciò, la Coldiretti, nel marzo 2015, in vista dell’Expo di Milano, ha pubblicato un articolo sul fatturato del falso Parmigiano Reggiano, il quale ha superato quello del prodotto autentico. Addirittura, il Parmesao brasiliano, il Reggianito argentino ed il Parmesan tedesco, americano ed australiano, nel 2014, hanno registrato vendite per 300 milioni di chili.
Il problema più comune è causato dai “complici” dell’Italian Sounding, che molto spesso sono proprio le catene della grande distribuzione e, inconsapevolmente, gli stessi consumatori.
I marchi contraffatti sono imitazioni dei brand italiani, i quali portano inevitabilmente il consumatore straniero ad acquistare il falso prodotto Made in Italy.
La Direzione Generale per la Lotta alla Contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (DGLC – UIMB), in collaborazione con Federalimentare, si è occupata, nel periodo tra il 2011 ed il 2013, di due progetti volti proprio a contrastare il fenomeno dell’Italian Sounding.
Il primo progetto ha avuto inizio nel mese di giugno 2011 ed ha avuto come destinazione il Canada, in occasione della partecipazione dell’Italia alla manifestazione SIAL. Tale progetto era finalizzato a promuovere e valorizzare i prodotti della filiera agroalimentare di origine italiana, educando il consumatore finale a riconoscere l’origine e la differenza di qualità del prodotto italiano.
Il secondo progetto, è stato attuato nel 2013 in Russia, Paese che ha dimostrato un notevole interesse nei confronti della qualità dei prodotti italiani, i quali, all’interno dell’evento, sono stati promossi attraverso la realizzazione di seminari informativi ad opera dei più rinomati chef di ristoranti italiani a Mosca.
Un ulteriore rimedio per contrastare le contraffazioni alimentari, è stato introdotto dall’Unione Europea, attraverso il Regolamento CE n. 178/2002, con cui si stabilisce la “procedura di rintracciabilità”, dando al consumatore la possibilità di acquistare e scegliere in modo consapevole.
Detta procedura ha lo scopo di prevenire adulterazioni o contraffazioni di prodotti, obbligando l’azienda che commercializza il prodotto finale a stabilire dei codici distintivi per ogni lotto di produzione immesso nel mercato, indicando la data di produzione e gli ingredienti utilizzati:
sulle etichette relative alla carne ovina, ad esempio,dovrà comparire il codice di riferimento dell’animale, il Paese di nascita, il/i Paese/i di allevamento ed ingrasso, la denominazione e sede del macello, nonché del sezionamento;
i prodotti ittici dovranno avere un’etichetta indicante la denominazione commerciale della specie (es. “Orata”), la denominazione scientifica (es. “Sparus Aurata”), il metodo di produzione (“pescato”, “allevato”), la zona di cattura ed il bollo sanitario;
le etichette apposte sulle confezioni di miele, dovranno riportare la denominazione di vendita (es. “miele millefiori”), la quantità netta o nominale, il nome, ragione sociale o marchio depositato, la sede del produttore, confezionatore o venditore, il Paese d’origine del prodotto, il codice relativo al lotto di produzione e l’indicazione della data di scadenza.
Gli obblighi di dichiarazione di origine riguardano principalmente i prodotti ortofrutticoli, uova, miele, carne bovina e pollame, latte fresco, prodotti ittici, passata di pomodoro ed olio extravergine di oliva, mentre, per quanto concerne la carne caprina, ovina, di coniglio e suina, ad oggi, non è stata ancora regolamentata un’etichettatura trasparente.
Anche in merito a prodotti come latte a lunga conservazione, formaggi, pasta, pane e conserve vegetali non esiste un obbligo vero e proprio, e l’utilizzo della denominazione di origine del prodotto è semplicemente una scelta volontaria delle aziende che lo commercializzano.
Pertanto, dal punto di vista legislativo, i provvedimenti da adottare contro la contraffazione alimentare sono ancora molti, non solo al fine di tutelare il consumatore, ma anche per ridurre il danno economico che, soprattutto negli ultimi anni, sta danneggiando le imprese italiane produttrici delle più rinomate eccellenze alimentari.

[1] A. Selvatici - “Libro nero della contraffazione” - Edizioni Pendragon 2012.